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CONCETTA MODICA
FRAGILE / EPICO
La ricerca di Concetta Modica è resa sul filo del dialogo tra presente e passato, il quale non esiste come custode del tempo ma solo in quanto somma di esperienze, sintesi di un vissuto che ha il suo senso profondo nella fragilità. Tempo che esiste solo e soltanto nel preciso istante in cui tutto accade. E’ come se guardando indietro non ci fosse più nulla, solo qualche sparuta traccia che lega tra loro le cose. Eppure, per Concetta Modica, recuperare l’intimo legame tra ciò che sta prima e ciò che sta dopo le consente di sperimentare sé stessa e anche gli altri. L’interesse per la storia diviene in lei metodo, possibilità per cercare e capire, dunque intervenire sulla realtà.
Le opere in mostra alla galleria Francesco Pantaleone arte contemporanea raccontano con estrema forza, il tentativo travagliato dell’artista che “misura” l’esistenza e cerca, non senza affanno, di plasmare una materia già esistente, con interventi ex post facto.
Ed è lì che si gioca il momento più drammatico e intenso del lavoro di Concetta Modica, poiché seppur praticabile la manipolazione delle cose, esiste un limite invalicabile, la consapevolezza dell’imponderabile che rende tutto indefinito, lascia il lavoro aperto e in qualche modo anche affidato al suo destino. In questa indeterminatezza che sfugge al controllo, s’insedia la reale possibilità che il lavoro possa diventare ancora una volta vivo, capace di riposizionarsi nella natura.
Fragile / Epico mostra lo sforzo di restituire al presente la somma di una serie di accadimenti che costituiscono il nostro vissuto. Allo stesso modo ogni manufatto è per Concetta Modica il risultato di una somma in cui “ciò che resta” si sovrappone al nuovo e prosegue il suo esistere nel tempo.
Sia il ricamo che lega insieme fili e trame che la ceramica animata dal colore, così come la scultura che sovrappone tra loro parti e materiali differenti sono lo strumento per rappresentare, l’alternanza tra l’eterno tentativo di confrontarsi con il tempo e la vana epica lotta per sottrarsi ad esso.
Lotta impari eppure, sempre e in ogni epoca, riproposta con estrema e sfrontata pretesa, quasi ribellione e mai accettazione, come drammatica affermazione di sé. Non resta allora che una certezza: il tempo presente, quello in cui tutto accade, tutto è possibile, l’istante in cui è percepita l’appartenenza all’universo, sperimentata con i sensi, con il respiro con la percezione esatta che stiamo al mondo, qui e ora e davvero siamo parte di un continuum in cui ciascuno ha un posto preciso.
Se dovessimo fissare la cronologia del lavoro di Concetta Modica potremmo chiamare in causa l’Aoristo, il tempo gnomico e puro, che esprime la conoscenza e la consapevolezza. È nel “γνῶθι σεαυτόν” (gnòthi seautòn – conosci te stesso) che trova senso questa ricerca, nella ciclicità di un pensiero che attinge dal passato in un eterno presente, capace di rinnovarsi proprio perché indefinito, narrativo. Questa associazione, probabilmente determinista, restituisce la possibilità di accedere all’esperienza per ricontestualizzare nel presente un segno davvero originale del proprio pensiero.
Agata Polizzi
Concetta Modica’s research is threaded in the dialogue between the present and the past which does not exist as a custodian of time, but only as a sum of events, a synthesis of experiences whose deepest meaning lies in fragility. Time exists only at the precise moment in which anything takes place. It is as if there were nothing anymore when looking back, just some sparse traces that bind things together. Yet, for Concetta Modica, retrieving the intimate bond between what was before and what comes after allows her to experience herself and others. Interest in history becomes a method in her art, an opportunity to seek and understand, and therefore intervene on reality.
The works on display at Galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea strongly testify to the artist’s troubled effort to “measure” existence and to seek, with a certain travail, to shape existing matter, with interventions ex post facto.
And this marks the most dramatic and intense moment in Concetta Modica’s work, since, though the manipulation of things is feasible, there is an insurmountable limit, namely the awareness of the imponderable that makes everything indefinite, leaving work unfinished and in some way also left to its fate. In this vagueness that escapes control, there is a real opportunity for work to come alive again, finding a new place in nature.
Fragile / Epic – shows the effort to bring the series of events that constitute our experience back to the present. Likewise, any manufactured product is, for Concetta Modica, the result of a sum in which “what remains” overlaps with what is new and continues its existence in time.
Both the embroidery that binds together the threads and patterns and the ceramic animated by color, as well as the sculpture that overlaps between their parts and different materials are the instruments representing the alternation between the eternal attempt to deal with time and the vain epic struggle to escape it.
It is uneven fight. Yet, always and in every time, it is revived with extreme and daring pretense, almost a rebellion and never a surrender, as a dramatic assertion of the self. All that is left is just one certainty: in the present time, where everything happens, everything is possible; the moment in which one’s belonging to the universe is perceived, experimented with the senses, through breath, with the exact perception that we are in the world, here and now, and that we are really part of a continuum in which everyone has a precise place.
If we were to chart out the time-line of Concetta Modica’s work, we could call into question the Aorist, that is to say the pure and gnomic tense that expresses knowledge and awareness. It is in the “γνῶθι σεαυτόν” (gnòthi seautòn – know thyself) that this search finds meaning, in the cyclical nature of thought that draws from the past in an eternal present and is able to renew itself precisely because it is indefinite and narrative in nature. This perhaps determinist association restores the opportunity to access experience to recontextualize a truly original sign of one’s own thought in the present.
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Concetta Modica arriva dalla Sicilia a Milano con una coperta a maglia della nonna.
La disfa e inizia un viaggio.
Non è Ulisse, né Penelope: per lei disfare la coperta significa disfare le consuetudini
familiari, spostare la terra d’origine, creare le sue opere, coinvolgere altri ad usare
quel filo per le proprie.
Man mano il filo diminuisce, ma basta per un’altra volta.
Con Quel che resta ricama su un lenzuolo quattro linee orizzontali e una verticale,
formano degli insiemi di cinque elementi, tipo il sistema per contare i dati.
L’immagine è aperta e molto attraente.
Gli spunti di lettura sono tantissimi. La cultura artigianale. Il rapporto con il materno
(la nonna) e il desiderio di promuoverlo tra donne e uomini. Il dubbio di non poter
mai dire quando l’opera è conclusa. Segni del tempo che passa. Il dialogo come
sistema di fili da disfare, per allentare i nodi, sciogliere i punti non scorrevoli e avere
altro filo da tessere.
Lenzuolo e coperta si alleano alla famiglia relazionale, composta dai racconti della
propria vita di artisti e artiste che Concetta ha riunito in un libro, e ai fili di quella che
ha “visto” avvolgersi attorno alla Quarta Vetrina.
Al lenzuolo, indirizzato verso il fronte strada, Concetta aggiunge sul retro - davanti
all’intrico “naturale” che pende dal ricamo - una scultura composita che guarda verso
la stanza. Tra l’interno e l’esterno, sia della vetrina, sia di chi guarda, la sinergia
diventa fluida e il filo si disfa e si riannoda.
Di nuovo parte da Quel che resta, dal passato o da altrove. La mano in gesso, trovata
da un marmista, che impugna il trespolo su cui sono appoggiati tre suoi libri “scritti”
con le foglie. Sono foglie cadute, incollate tra le pagine. Colorando i tratti mancanti e
gli sgretolamenti ritesse le loro vite, e le sposta nei libri: i nostri compagni di viaggio
dal passato al presente. Alla base, in un sasso spaccato a metà, conficca altri resti di
fili. Saranno gli ultimi? No.
Si aggiungeranno quelli lavorati e disfatti, durante il dialogo dell’inaugurazione. E
non è questo il lavoro che la Libreria delle donne di Milano compie da quarantanni?
Francesca Pasini
FRAGILE / EPICO
La ricerca di Concetta Modica è resa sul filo del dialogo tra presente e passato, il quale non esiste come custode del tempo ma solo in quanto somma di esperienze, sintesi di un vissuto che ha il suo senso profondo nella fragilità. Tempo che esiste solo e soltanto nel preciso istante in cui tutto accade. E’ come se guardando indietro non ci fosse più nulla, solo qualche sparuta traccia che lega tra loro le cose. Eppure, per Concetta Modica, recuperare l’intimo legame tra ciò che sta prima e ciò che sta dopo le consente di sperimentare sé stessa e anche gli altri. L’interesse per la storia diviene in lei metodo, possibilità per cercare e capire, dunque intervenire sulla realtà.
Le opere in mostra alla galleria Francesco Pantaleone arte contemporanea raccontano con estrema forza, il tentativo travagliato dell’artista che “misura” l’esistenza e cerca, non senza affanno, di plasmare una materia già esistente, con interventi ex post facto.
Ed è lì che si gioca il momento più drammatico e intenso del lavoro di Concetta Modica, poiché seppur praticabile la manipolazione delle cose, esiste un limite invalicabile, la consapevolezza dell’imponderabile che rende tutto indefinito, lascia il lavoro aperto e in qualche modo anche affidato al suo destino. In questa indeterminatezza che sfugge al controllo, s’insedia la reale possibilità che il lavoro possa diventare ancora una volta vivo, capace di riposizionarsi nella natura.
Fragile / Epico mostra lo sforzo di restituire al presente la somma di una serie di accadimenti che costituiscono il nostro vissuto. Allo stesso modo ogni manufatto è per Concetta Modica il risultato di una somma in cui “ciò che resta” si sovrappone al nuovo e prosegue il suo esistere nel tempo.
Sia il ricamo che lega insieme fili e trame che la ceramica animata dal colore, così come la scultura che sovrappone tra loro parti e materiali differenti sono lo strumento per rappresentare, l’alternanza tra l’eterno tentativo di confrontarsi con il tempo e la vana epica lotta per sottrarsi ad esso.
Lotta impari eppure, sempre e in ogni epoca, riproposta con estrema e sfrontata pretesa, quasi ribellione e mai accettazione, come drammatica affermazione di sé. Non resta allora che una certezza: il tempo presente, quello in cui tutto accade, tutto è possibile, l’istante in cui è percepita l’appartenenza all’universo, sperimentata con i sensi, con il respiro con la percezione esatta che stiamo al mondo, qui e ora e davvero siamo parte di un continuum in cui ciascuno ha un posto preciso.
Se dovessimo fissare la cronologia del lavoro di Concetta Modica potremmo chiamare in causa l’Aoristo, il tempo gnomico e puro, che esprime la conoscenza e la consapevolezza. È nel “γνῶθι σεαυτόν” (gnòthi seautòn – conosci te stesso) che trova senso questa ricerca, nella ciclicità di un pensiero che attinge dal passato in un eterno presente, capace di rinnovarsi proprio perché indefinito, narrativo. Questa associazione, probabilmente determinista, restituisce la possibilità di accedere all’esperienza per ricontestualizzare nel presente un segno davvero originale del proprio pensiero.
Agata Polizzi
Concetta Modica’s research is threaded in the dialogue between the present and the past which does not exist as a custodian of time, but only as a sum of events, a synthesis of experiences whose deepest meaning lies in fragility. Time exists only at the precise moment in which anything takes place. It is as if there were nothing anymore when looking back, just some sparse traces that bind things together. Yet, for Concetta Modica, retrieving the intimate bond between what was before and what comes after allows her to experience herself and others. Interest in history becomes a method in her art, an opportunity to seek and understand, and therefore intervene on reality.
The works on display at Galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea strongly testify to the artist’s troubled effort to “measure” existence and to seek, with a certain travail, to shape existing matter, with interventions ex post facto.
And this marks the most dramatic and intense moment in Concetta Modica’s work, since, though the manipulation of things is feasible, there is an insurmountable limit, namely the awareness of the imponderable that makes everything indefinite, leaving work unfinished and in some way also left to its fate. In this vagueness that escapes control, there is a real opportunity for work to come alive again, finding a new place in nature.
Fragile / Epic – shows the effort to bring the series of events that constitute our experience back to the present. Likewise, any manufactured product is, for Concetta Modica, the result of a sum in which “what remains” overlaps with what is new and continues its existence in time.
Both the embroidery that binds together the threads and patterns and the ceramic animated by color, as well as the sculpture that overlaps between their parts and different materials are the instruments representing the alternation between the eternal attempt to deal with time and the vain epic struggle to escape it.
It is uneven fight. Yet, always and in every time, it is revived with extreme and daring pretense, almost a rebellion and never a surrender, as a dramatic assertion of the self. All that is left is just one certainty: in the present time, where everything happens, everything is possible; the moment in which one’s belonging to the universe is perceived, experimented with the senses, through breath, with the exact perception that we are in the world, here and now, and that we are really part of a continuum in which everyone has a precise place.
If we were to chart out the time-line of Concetta Modica’s work, we could call into question the Aorist, that is to say the pure and gnomic tense that expresses knowledge and awareness. It is in the “γνῶθι σεαυτόν” (gnòthi seautòn – know thyself) that this search finds meaning, in the cyclical nature of thought that draws from the past in an eternal present and is able to renew itself precisely because it is indefinite and narrative in nature. This perhaps determinist association restores the opportunity to access experience to recontextualize a truly original sign of one’s own thought in the present.
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Concetta Modica arriva dalla Sicilia a Milano con una coperta a maglia della nonna.
La disfa e inizia un viaggio.
Non è Ulisse, né Penelope: per lei disfare la coperta significa disfare le consuetudini
familiari, spostare la terra d’origine, creare le sue opere, coinvolgere altri ad usare
quel filo per le proprie.
Man mano il filo diminuisce, ma basta per un’altra volta.
Con Quel che resta ricama su un lenzuolo quattro linee orizzontali e una verticale,
formano degli insiemi di cinque elementi, tipo il sistema per contare i dati.
L’immagine è aperta e molto attraente.
Gli spunti di lettura sono tantissimi. La cultura artigianale. Il rapporto con il materno
(la nonna) e il desiderio di promuoverlo tra donne e uomini. Il dubbio di non poter
mai dire quando l’opera è conclusa. Segni del tempo che passa. Il dialogo come
sistema di fili da disfare, per allentare i nodi, sciogliere i punti non scorrevoli e avere
altro filo da tessere.
Lenzuolo e coperta si alleano alla famiglia relazionale, composta dai racconti della
propria vita di artisti e artiste che Concetta ha riunito in un libro, e ai fili di quella che
ha “visto” avvolgersi attorno alla Quarta Vetrina.
Al lenzuolo, indirizzato verso il fronte strada, Concetta aggiunge sul retro - davanti
all’intrico “naturale” che pende dal ricamo - una scultura composita che guarda verso
la stanza. Tra l’interno e l’esterno, sia della vetrina, sia di chi guarda, la sinergia
diventa fluida e il filo si disfa e si riannoda.
Di nuovo parte da Quel che resta, dal passato o da altrove. La mano in gesso, trovata
da un marmista, che impugna il trespolo su cui sono appoggiati tre suoi libri “scritti”
con le foglie. Sono foglie cadute, incollate tra le pagine. Colorando i tratti mancanti e
gli sgretolamenti ritesse le loro vite, e le sposta nei libri: i nostri compagni di viaggio
dal passato al presente. Alla base, in un sasso spaccato a metà, conficca altri resti di
fili. Saranno gli ultimi? No.
Si aggiungeranno quelli lavorati e disfatti, durante il dialogo dell’inaugurazione. E
non è questo il lavoro che la Libreria delle donne di Milano compie da quarantanni?
Francesca Pasini
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------LIFE IS EVERYTHING / CONCETTA MODICA -MASSIMO RICCIARDO
a cura di Francesco Lucifora
studio das weisse haus
Kriehubergasse 24 - 26 / 3rd floor / 1050 Vienna
Life is everything
Ci troviamo a vivere in un mondo che trabocca di memoria e in qualche modo non abbiamo più spazio per alcune cose che rappresentano la nostra vita. L'intenzione di questo progetto espositivo è svelare alcuni aspetti che ci sfuggono, ma che abbiamo dentro lungo tutta la vita. Senza apparente motivazione ci troviamo ad allontanare i tratti più intimi dell'esistenza e ci lasciamo sopraffare da una serie di cose che passano dall'inutilità alla necessità, in questo momento perdiamo pezzi. Per tutti, la riconnessione con il recente passato è uno sforzo, per alcuni artisti è un percorso obbligato, una scelta.
Concetta Modica lavora sulla nuova percezione riferita ad oggetti, ricordi che si sono stabilizzati nell'anima, ma perdono la loro fisicità nel presente per riprendere nuove forme. Sono frequenti i suoi interrogativi rivolti ad una storia umana che dimostra tutta la relatività, il tempo e lo spazio quale influenza hanno nella nostra vita pubblica e nel nostro agire privato?
Massimo Ricciardo ha scelto lo spostamento e il viaggio come percorso primario delle sue indagini. La memoria collettiva e quella individuale variano al variare della cultura. Quello che mangiamo, compriamo, scambiamo, ogni cosa è simbolo del come si vive e di quante cose ricordiamo e di quante altre spostiamo dentro il contenitore profondo del "dimenticare".
La vita è dunque ogni cosa alla quale conferiamo valore, sia esso un evento intimo o pubblico, in fondo ogni esistenza si svolge sul confine del dentro e fuori di noi. Ci rendiamo conto di essere disconnessi da molte cose che erano importanti e che adesso sostituiamo a causa dell'affanno del vivere. Invece possiamo tornare a pensare che ogni parte di noi è la vita che viviamo. Francesco Lucifora
We live in a world that is brimming with memory and somehow we no longer have room for some things that represent our lives. The intention of this art project is to reveal certain aspects that escape us, but that we have inside durino our lifetime. For no apparent reason we dismiss the most intimate traits of existence and we let ourselves be overwhelmed by a number of things that pass by futility to the need, at this moment we lose pieces. For all, reconnecting with the past is an effort, for some artists is a choice.
Concetta Modica works on new perception referred to memories that have stabilised in the soul, but lose their physicality in there to take new forms. Her questions are common for a human history which shows the whole relativity, time and space which have influence in our lives and in our private acts?
Massimo Ricciardo choses moving and travel as the primary path of his research. The collective and individual memory change according to cultures differences. What we eat, we buy, trade, everything is a symbol of how we live and how many things are and how many other move inside the container of "forgetting". Life is everything to which we give value, it could be intimate or public event, we have to realize that every existence takes place on the border of inside and outside us. We realize to be disconnected from a lot of things that were important and that now replace because of the pain of living. Instead we can return to think that every part of us is the life we live.
Francesco Lucifora
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Darlingtonia
a cura di Francesco Pantaleone e Agata Polizzi
Bad New Business Gallery
via Marco Formentini 4/6
20121 Milano
26Febbraio/26Aprile 2014
26February/26April 2014
Il paesaggio immaginario che ciascuno di noi, presto o tardi nella vita trova dentro sé stesso, è forse l’unico che davvero ci appartiene ed è quello che ci consente di trovare la nostra dimensione più vera e libera, la più luminosa.
Darlingtonia nella fenomenologia di Concetta Modica sintetizza proprio questo universo sospeso, è il paesaggio attraverso cui lei elabora il sentimento, in cui ritrova la ragione dell’esistenza, polverizzando il suo fantasma più grande: il tempo. In Darlingtonia il tempo esiste solo come materia della sperimentazione, come elemento che muta le cose rivelando identità nascoste. Concetta Modica ritrova nella materia le tracce di un divenire mutevole, che stravolge ogni cosa rendendola sempre diversa, come per le persone o le piante, accomunate dalla partecipazione alla medesima essenza materiale, limitata, fragile. Eppure questa fragilità ha in sé una straordinaria potenza, è rivelazione continua, misteriosa energia.
Modica non si sottrae alla struggente contemplazione della natura, non risparmia le sue considerazioni sull’inconsistenza dell’umanità, eppure la sua riflessione contempla anche la possibilità di trovare proprio in questa natura mortale la ragione per vivere, rivela la straordinaria unicità di un’esperienza altrimenti irripetibile. La vita stessa, che nasce con la promessa della fine, ha nella consistenza precaria proprio la sua più grande bellezza.
Per preservarla occorre accettarla e attraversarla, e Modica ne esplora l’itinerario esistenziale attraverso quelle “geografie” che l’umanità ogni attimo crea, forse inconsapevolmente, forse come estrema necessità di affermazione. Geografie fatte di appartenenza, di affinità, di scelte e di dubbi che come dice l’artista: “partono da noi stessi, dalle persone, dai racconti, dalle cose che raccogliamo, che percepiamo. La geografia che si scorge in una foglia mangiata dai vermi e dal tempo, in cui si formano laghi, fiumi. Il presente che fagocita che dimentica presto”.
In questa affermazione è custodita un bisogno di sgretolare il dubbio, di cercare risposte pur sapendo che queste non potranno mai arrivare. Resta così la ragionevole pretesa di possedere pienamente il tempo concesso, di vivere un presente con pienezza, come custode di ciò che è stato e premessa di ciò che sarà. La ricerca di Concetta Modica con questo spirito produce opere che incarnano con precisione il desiderio di interpretare una resistenza, raccontano il bisogno di dare voce ad una memoria che affiora nel presente per continuare ad esistere.
Lei riversa la sua ricerca nella materia, che nelle sue mani suggerisce nuove possibilità, genera commistioni, trova nuove vie. La pietra scarna e consumata dal tempo diventa viva e fertile, pervasa come un campo che germogliato da teneri innesti.
La materia genera altra materia che non le assomiglia ma la rappresenta; diventa un corpo sempre nuovo capace di invadere lo spazio, di insinuarsi nelle fessure, di espandersi, rimandando alle strategie della natura che genera se stessa in eterno. Natura che ci lega e ci consola, rendendoci parte di un destino comune infinitamente oscuro e affascinante.
Agata Polizzi
Darlingtonia: geography of a belonging
By Agata Polizzi
The imaginary landscape that sooner or later we find within ourselves is the only one that really belongs to us and it is the one that allows to find our true and free dimension, the brightest one.
Darlingtonia in Concetta Modica’s phenomenology, resumes this hanging universe, it is the landscape she develops the feeling with, where she finds the reason of existence, crushing her biggest ghost: time. In Darlingtonia time itself exists only as matter of experimentation, as element that changes thing revealing hidden identities. Concetta Modica finds in the matter traces of an ever changing flux, shaking every single thing making it different, as per people or plants, joined by the participation to the same material essence, limited and fragile. Yet this fragility has got and extraordinary power, it is an ongoing revelation, a weird energy.
Modica does not back out of the moving contemplation of nature, she does not put aside her remarks on the human inconsistency but her thoughts consider the chance to find in this mortal nature the reason for a living, revealing the extraordinary uniqueness of a one of a kind experience. Life itself, growing as promise of the end, has in its insecure substance its biggest beauty.
To preserve it we must accept it and cross it and Modica explores the existential itinerary through the “geography” that humanity creates, maybe unwittingly, as an urgent need of success. Geography made of belongings, resemblances, choices, doubts that as stated by the artist: “start from ourselves, from people, from stories, from things we collect, we perceive. Geography can be seen in a leaf eaten by worms and in time itself, where lakes and rivers shape. The present swallowing up, forgetting fast”.
This remark hedges in the need to dust the doubt, to find answers even if aware they will never arrive. Here it stays, the rational demand to possess the time, to live fully the present, as a keeper of what it was and as introduction of what it will be. The research of Concetta Modica with this spirit produces works that precisely embody the desire of interpret a resistance, to give voice to a memory emerging in life to keep existing.
She transfers her research in the matter, that in her hands suggests new chances, creating mixes, finding new ways. The bare and consumed stone becomes something different, alive, permeated as a field germinated by gendle grafts.
The matter creates matter not looking like each other but representing; It becomes a new body able to invade the space, worming in crevices, expanding, referring to strategies of nature creating itself in aeternum. Nature that binds and console us, making us part of a common destiny greatly dark and charming.
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Fino al 25 aprile lo spazio Bad New Business di via Marco Formentini (Milano) ospita la mostra Darlingtonia, curata da Francesco Pantaleone e Agata Polizzi, con opere di Concetta Modica. Il nome dell’esposizione è quello di una pianta carnivora che cresce sulle montagne della California, conosciuta anche come “Pianta Cobra” per la forma delle foglie che ricordano un serpente all’attacco. Esso è anche il titolo di una delle opere esposte (Darlingtonia, 2014), nonché una scultura che unisce un’antica riproduzione in gesso ritraente il volto della Madonna, scavata e consumata dal tempo, e delle maioliche colorate, aggiunte dall’artista, che si fanno lacrime e capelli. Siamo dinnanzi ad uno dei ben riconoscibili atti creativi di Modica: il capovolgimento di oggetti storicizzati, propri del bagaglio millenario della Sicilia, che trasforma e restituisce l’antico attraverso moduli nuovi. Dietro di esso, appoggiata al muro, troviamo Teste (2014), composizione in cui ad una sciabola vengono aggiunte, come se infilzate, quattro teste d’uomo in gesso, anch’esse ritrovate, in cima alle quali, a ridosso della punta, sta una maiolica che prende la forma dell’impugnatura dell’artista. È il traslato concettuale-scultoreo del tentativo di Modica di afferrare il tempo e sfidarlo, in questo caso in un duello. Queste due opere dialogano con altre due: Hora (2014) e Geografie (2014). La prima è un assemblaggio di due sculture in gesso trovate, che vengono appese, quasi sfiorando il suolo, ad un perno a soffitto attraverso una corda sintetica; la seconda presenta, invece, una risma di cartoncini plastificati -poggianti ad una pietra- a cui sono incollate, una per foglio, foglie secche, in cui il tempo ha eroso dei fori che vengono riempiti da Modica attraverso un pastello colorato. In queste prime quattro opere emerge, impetuosa, la riflessione che l’artista svolge attorno al tempo: esso, incarnato e materializzato nelle sculture antiche e nelle foglie crepate, viene contrastato mediante segni colorati e vitali, come le maioliche che germogliano e fanno rifiorire la Madonna, i punti di pastello che danno colore alle foglie morte, il cavo sospensorio che fa rivivere, facendole fluttuare nell’aria, statue abbandonate. È la manifestazione di una volontà, quella dell’artista, di affrontare il mondo e il suo scorrere, ma anche di viverlo appieno, in ogni sfumatura, in ogni sapere antico, che viene riascoltato e fatto rivivere. Anzi, il tempo perde la sua ombra angosciosa e diventa mezzo di sperimentazione ed elemento che altera, e talora potenzia, tutte le cose. È quel riscoprire, “umano troppo umano” -e quindi amorevolmente commovente-, che la più profonda gloria dell’uomo è di vivere il mondo precario e caduco -come una foglia appunto-, ma che è suo, che conosce, che abita.
Discorso a parte, privo di dialogo con le opere descritte sopra, creano Il cappotto di Simeone (2014), stampa lambda su dibond, e Il cappotto di Simeone #2 (2014), disegno su carta da spolvero. Sono lavori in cui Modica espone il disegno di un cappotto pensato e realizzato da un sarto milanese per Simeone Crispino: come mi ha spiegato Francesco Pantaleone stesso, Crispino, giunto a Milano da Napoli, si ritrovò in un ambiente di moda e lusso in cui i bei cappotti dei negozi avevano prezzi troppo elevati per permetterseli, da qui l’idea di farselo cucire ad personam. E perché questo lavoro? Sempre il gallerista mi spiega che tali lavori nascono da “dialoghi tra artisti” che Modica presenta nel progetto editoriale In pasto al presente, edito da A+M Bookstore, con la partecipazione di più artisti italiani, tra cui, appunto, il già detto Simeone.
Marco Arrigoni (Art Texts Pics 12-03-14)
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Concetta Modica si può definire certamente un’artista concettuale, ma nell’accezione meno fredda e cerebrale che si possa immaginare. Un esempio? Un’arancia dentro una rosa di Jericho, un’opera del 2009, senza dubbio oltre ogni idea di economia ma non di poesia.
Il concettualismo in Italia storicamente è stato incarnato soprattutto da quel movimento che Germano Celant chiamò “arte povera” e proprio per l’utilizzo di materie povere, non colori preparati per l’arte, non marmo, non bronzo ma ciò che, prodotto per altro uso, potesse avere un valore simbolico, cambiare o mantenere il significato in un’opera d’arte.
Anche Modica trasporta le cose nel proprio mondo di significati, una corda, le foglie, un isolante in ceramica per alta tensione, un reperto in gesso. Le trasporta nel proprio vissuto, nella propria intelligenza del mondo e, in questo caso, anche di Dio, e le riveste della propria forma estetica.
È la sua poetica che ritorna nel momento sacro dell’arte.
Nel suo singolarissimo libro “In pasto al presente” un libro senza punteggiatura o capitoli e paragrafi, che è una lunga ininterrotta serie di interviste ad artisti contemporanei, da Stefano Arienti a Emilio Isgrò, da Enzo Cucchi a Giulio Paolini, da Chijoko Miura a Gilberto Zorio, senza che nessuno venga nominato se non in una nota finale, dice: “queste interviste sono i racconti della buonanotte di un bambino, piacevoli e preziosi, trascritti di notte, prima di andare a letto, registrati tutti in momenti magici”.
Ogni incontro dunque è vissuto come momento creativo che si rinnova in ogni presente, nel ricordo di ogni nuovo vissuto: lo stesso avviene nelle opere presentate a San Marino.
Due istallazioni che raccontano di due preghiere, la propria preghiera, la preghiera vera che nasce sempre dalla vita, dal basso, dal bisogno concretissimo dell’uomo e che, di fronte a Dio, diventa invocazione.
La prima dal titolo Hora, ci parla della necessità, della sofferenza che tanto più pesano, tanto più rendono intensa la preghiera e ne mostrano la sua segreta realtà divina.
La seconda è fatta di tante foglie trovate in luoghi e giorni diversi e per questo si intitola Geografie.
Preghiere che portano in sé la storia di ogni incontro, di ogni istante, l’irriducibile individualità di ogni cosa.
Su ciascuna foglia inserita in una busta Modica ha messo il suo piccolo personale sigillo di colore e si sa che su tutto c’è il sigillo di Dio che chiama ogni sua creatura per nome.
Francesco Maria Acquabona
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LA COPERTA DI CONCETTA E L’ORIZZONTE DEI FILI
Dopotutto la coperta di Goodbye, nel suo epilogo, atomizzata in giro per il mondo e riallineata qui a riss(e) nella nuova forma dei suoi componenti, evoca un’immagine di viaggio, facendo pensare a quel riparo dal freddo, ma in fondo a quella protezione dall’ignoto, quell’”appendice di casa”, che accompagna da sempre l’iconografia del viaggiatore.
Appoggiata sulle ginocchia nelle diligenze del west o nelle migrazioni dell’Orient Express, riposta nei bagagliai delle prime motorizzazioni di massa degli anni ‘50, accogliente “gruccia” nei lunghi viaggi aerei intercontinentali oggi, la coperta è per definizione il viaggio, o la casa, o entrambe le cose insieme proprio perché forse l’una non può essere senza l’altra e viceversa.
Dunque, pazientemente smembrata, ridotta agli elementi primari dello scheletro della tessitura e accuratamente dispersa, la coperta di Concetta rivela nonostante e proprio nel controluce della sua decostruzione l’essenza della sua natura: la forma di un “fare” che trova nel viaggio il suo senso.
“La via più breve per giungere a se stessi gira intorno al mondo”, osservava Hermann Keyserling, in questa accezione l’abbandono al viaggio assume una forte valenza introspettiva ma anche una segnata dimensione conoscitiva: viaggiando è come se mi guardassi allo specchio ma viaggiando è come se guardassi allo specchio, con me, il mondo, cogliendone nell’instabilità delle immagini “di vetro” l’andamento dinamico di flusso in costante trasformazione.
La dispersione diventa in realtà una disseminazione, ovvero il luogo di una fecondità.
La coperta di Concetta scarnificata nei fili della sua tessitura e “dispersa ai quattro venti” dà luogo ad altri “fare”, genera altre forme che, a partire dal seme dell’origine sviluppano le forze della vita. Dissolta, la forma si apre ad assumere una dimensione processuale e addirittura germinale; la tessitura, il fare originario, si ricrea in una prospettiva relazionale dove la forma diventa sempre più la forma della relazione. E in questa forma ci parla del mondo; mentre implicitamente la valenza geografica in cui l’operazione si proietta è quella di una geografia “immateriale”, se si vuole una geografia degli orizzonti più che una geografia dei confini.
L’orizzonte, infatti, contiene tutta la forza del viaggio e ne proietta il valore euristico.
“Chi anche solo in una certa misura è giunto alla libertà della ragione, non può non sentirsi sulla terra nient’altro che un viandante per quanto non un viaggiatore diretto a una meta finale: perché questa non esiste. Ben vorrà invece guardare e tener gli occhi ben aperti, per rendersi conto di come veramente procedano le cose nel mondo; perciò non potrà legare il suo cuore troppo saldamente ad alcuna cosa particolare: deve esserci in lui stesso qualcosa di errante, che trovi la sua gioia nel mutamento e nella transitorietà”.
Così Nietzsche in Umano troppo umano e di questa gioia nel mutamento e nella transitorietà si nutre il lavoro di Goodbye, nella consapevolezza che la fine contiene sempre un inizio, se ci si dispone all’armonia con la circolarità della vita, di cui l’inafferrabilità dell’orizzonte è il tramite.
E’ per questo forse che lo sguardo del viandante di Friedrich è puntato verso l’orizzonte, consumando un’attesa che si radica nella nebbia, metafora del sublime romantico, certo, ma anche di una forza entropica dove il limite spugnoso dell’orizzonte rimanda continuamente ad un altrove inafferrabile per definizione. E la nebbia, ovattando il mondo ce lo restituisce “rallentato”, tanto da poter essere percorso solo con la forza dell’attesa, ovvero quella condizione in cui lo sguardo si acuisce e le cose si offrono a noi nella loro sostanza.
Ma anche quella stessa condizione di Penelope, a cui inevitabilmente rimanda la coperta di Concetta: un fare e disfare continui che consumano una sospensione del tempo entro la quale il mondo si rivela. Dunque la tessitura come orizzonte dei fili, per cercare in essa, con la “verità” dell’arte, la trama di nuove epistemologie.
Ermanno Cristini
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The Umberto Di Marino Arte Contemporanea Gallery is glad to present on 4th October 2007 the first solo show by Concetta Modica in Naples One more time.
For years the Sicilian artist has been carrying out a work of decomposition and transformation of the objects drawn from everyday life, intended to loose their original function in order to become the subject of an aesthetical way based on logical preambles that are continuously called into question with an acute spirit of observation. Everything that comes from an intimate and private sphere or concerns a definite cultural context goes through the filter of time, so that it can be shared by everyone, as an instrument that can decipher the present and also the future thanks to its strong symbolical charge. To analyse, to disassemble and to take reality into pieces, as if it were a mechanical gear, is an essential moment in the act of creation; as it was expressed by Giambattista Vico (1668-1744) in the verum factum principle, “to know is to assemble the parts of the things”: one has the real knowledge only of what one produces.
In the project intentionally conceived for the Umberto Di Marino Arte Contemporanea Gallery it is frequent the cross-reference to the theories of the Neapolitan philosopher, specially when the artist’s attention is focused on the idea of the repeatability of the events, the emotions or, simply, the gestures.
History repeats itself in a circular way but nothing is exactly alike to what preceded, at least as far as the modalities.
In the first room this idea is synthesized beginning from the series Drawings with filter, where the result obtained from the gliding of the pencil on the carbon paper changes depending on the type of filter (but also on the mood) interposed between the papers: a rose received as a present, a pillowcase, the weft of a scarf help in creating a little difference owing to their different substance. Then, on a table are placed five Paradoxes, that is to say small works that can demonstrate, such as a laboratory experiment, the relativity of the idea of eternity and immanence. Some old stamps coming from the ex-Jugoslavia, symbols of the bureaucratic depersonalization, are converted to the seal of words that refer to transcendent categories ( in saecvla saecvlorum, now). The accidental result of the decomposition of small plexiglass bars reacting to the pressure of a finger let the viewers reflect on the idea that the repetition of an action is the only way to give it its uniqueness back. Small fragments of glass smoothed by the constant wear and tear of the waves are patiently collected in order to let them become precious stones; in the same way, also only a touch can give a used screw of an old Sicilian cart, once dipped in gold, new dignity again. At least, some unusual chocolates (Baci di Modica) will be unwrapped in order to let viewers read the messages: set phrases extracted from the speeches of our politicians during the last election campaign.
In the second room, thanks to a great installation, the dimensions change: the metallic rim of a cart wheel looses its typicality owing to a moped, that lets it wheel clockwise, till it seems a simple circle. One can understand it as a representation of the cyclical run of the time or as a reduction of the earth’s circumference: this installation gets another value, due only to its new function. In fact, in a corner we find Vico again in reduced scale, lost in his reasoning in a little spiral column, the formal symbol of his theory.
The expositive way ends with the video One more time projected on the floor of the last room: here the stones, that are normally thrown on the surface of the water to follow the signs left on it, are put together so that they form geometric and written figures at the unending sound of the ticking of a clock.
La Galleria Umberto Di Marino Arte Contemporanea è lieta di presentare, giovedì 4 ottobre 2007, la prima personale napoletana di Concetta Modica dal titolo One more time.
L’artista di origine siciliana porta avanti da anni un lavoro di scomposizione e trasformazione su oggetti prelevati dal quotidiano, che sono destinati a perdere la loro originaria funzione per diventare materia prima di un percorso estetico basato su premesse logiche poste continuamente in dubbio con acuto spirito di osservazione. Ciò che proviene da una dimensione intima, privata o comunque riferibile ad un determinato contesto culturale, passa attraverso il filtro del tempo per arrivare ad essere condivisibile da tutti, come strumento in grado di decifrare anche il presente ed il futuro grazie alla sua forte carica simbolica. Analizzare, decostruire, smontare la realtà come l’ingranaggio di un meccanismo è un passaggio fondamentale nel processo creativo; come enunciato dal principio del verum factum di Giambattista Vico (1668 – 1744), “sapere è comporre gli elementi delle cose”, si possiede la vera conoscenza solo di quello che si produce.
All’interno del progetto ideato appositamente per la Galleria Umberto Di Marino Arte Contemporanea, infatti, il rimando alle teorie del filosofo napoletano è frequente, soprattutto nel momento in cui l’attenzione si concentra sulla ripetibilità degli eventi, come delle emozioni o più semplicemente dei gesti. Tutto si ripete nell’eterno svolgersi della storia in modo circolare, ma mai niente è perfettamente identico a ciò che lo ha preceduto, almeno per quanto riguarda le modalità.
Nella prima stanza tale presupposto viene sintetizzato a partire dalla serie di Drawings with filter, in cui il risultato ottenuto attraverso lo scorrere della matita sulla carta carbone varia a secondo del filtro materico (ma anche emotivo), interposto tra i due fogli: una rosa ricevuta in regalo, la federa di un cuscino, la trama di un foulard contribuiscono a creare un lieve scarto percettivo con la loro diversa consistenza. Su di un tavolo, poi, sono collocati cinque Paradossi, ovvero piccole opere in grado di dimostrare, come in un esperimento da laboratorio, la relatività dei concetti di eternità ed immanenza. Vecchi timbri dell’ex-Jugoslavia vengono convertiti, da simboli della spersonalizzazione burocratica, a suggello di parole che rimandano a categorie trascendenti (per sempre, in saecvla saecvlorum, now). Il risultato casuale della scomposizione di piccole aste in plexiglass che reagiscono alla pressione di un dito, ci avverte su quanto la ripetizione di un’azione sia l’unico mezzo capace di restituirle unicità. Piccoli frammenti di vetro smussati dal costante logorio delle onde, vengono raccolti con pazienza per diventare pietre preziose, come pure basta un tocco a restituire nuova dignità alla vite consumata di un vecchio carretto siciliano, una volta bagnata nell’oro. Infine, alcuni insoliti cioccolatini (Baci di Modica) verranno scartati per permettere ai visitatori la lettura del messaggio all’interno, ovvero frasi ‘fatte’ estrapolate dai discorsi dei nostri politici durante la scorsa campagna elettorale.
Nella seconda stanza, poi, cambiano le dimensioni con una grande installazione, in cui il cerchione metallico della ruota di un carro perde la sua tipicità tramite un motorino che lo fa ruotare in senso orario, fino a dargli l’aspetto di un semplice cerchio. Che lo si intenda come rappresentazione dello scorrere ciclico del tempo o come riduzione della circonferenza terrestre assume un valore aggiunto, che è determinato unicamente dalla sua nuova destinazione d’uso. In un angolo, infatti, ritroviamo Vico in scala ridotta, perso a vagare tra i suoi ragionamenti all’interno di una piccola colonna tortile, simbolo formale della sua teoria.
A chiudere il percorso espositivo, sul pavimento dell’ultima stanza è proiettato il video One more time, dove i ciottoli, solitamente gettati ripetutamente per guardarne le evoluzioni sulla superficie dell’acqua, vengono qui composti per formare figure geometriche e scritte, al suono incessante del ticchettio di un orologio
Nicoletta Daldanise
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North passage
Sicilian grandmothers traditionally weave bedcovers for their granddaughters as a wedding gift. They weave them for the whole period of our childhood, using wool which has sentimental value because it salvaged from old and used clothes. I unraveled the yarn of the bedcover made by my grandmother and I am using it for my art. This recycling of my grandmother’s gift retains her memory, and so my art has a certain continuity with my family’s past even if it is in the form of a reconstituted work. This is also a sort of homage to Penelope.
The wool yarn of my grandmother’s bedcover has thus become an installation of sounds and a landscape in the Gallery of Contemporary Art of Bergamo. There it has become an animation where the yarn draws my cities, my landscapes and my objects, following a route which Icalled La via della lana (The wool road). It has become a painting for art collectors and a painting which invites the patients of a hospital in Milan to write the beautiful things about their lives.
Now the yarn of my ex-bedcover is travelling to Finland to be transformed into other art works. Now I want to draw a Finnish landscape joining together my grandmother’s yarn with traditional Finnish yarn. In this way, Finnish Northern and Sicilian Southern culture, Northern and Southern Europe meet. Traditional handicraft culture and history of art, a painting of history of art, and an artist are joined together in this way.
I chose for this project a drawing from Hugo Simberg (1873-1917), an artist of the Golden Age of art in Finland. Simberg shows symbolist and surrealistic aspects; moreover, there are provoking and ironic elements in his work. He is a very popular artist here in Finland, but the drawing of this artist which I propose is somehow unknown: the original title is Kuningatar onkii (The Queen Fishing), it is an etching which has been realized in 1895-1896. The Gallen-Kallela Museum of Espoo exposes a photo of this drawing, the original one belongs to a private art collection. Some female embroiderers of Rauma, The Martha Organization, will weave this (arras) embroidery. In the beginning this idea did not generate a lot of enthusiasm: such an unknown drawing, not very decorative, not very representative (typical), not very picturesque and very ironic,
almost irreverent and not very close to the tradition of embroidery! For me, this meeting and this dispute with a drawing from Modern Art seemed to be interesting. The encounter with contemporary art always creates a difficult and harsh clash which needs to be dealt with and to be reflected upon. Art requires effort, art never do what you expect. To the contrary, art does the opposite of what you expect and functions only if it raises questions.
My first meeting with the embroiderer women broke the ice. Working together solved a lot of problems and gave rise to a nice reciprocal collaboration. For this reason, after the choice of the drawing and of an adequate material the weavers could decide on their own the colors and the techniques to be used. In the course of this dialogue and the decision making process, we talked about Simberg, about his paintings, about his colors, about the spirit of his ideas. In this way, we created a new way of talking. Without noticing it we created a new language, which had to be explored through a drawing, tracing each feature, passing through the sign of the original drawing, reinterpreting it our way, following the yarn which unites and connects these elements in some way to the history of art. Afterwards these lovely weavers asked me about my grandmother, of her history, of her very old wool with a lot of knots. I explained to them that in the peasant culture of Sicily they used to weave a bedcover by salvaging the yarn of old stockings and of old jumpers. They told me that they too reuse old wool to make carpets. Thus, we started to work with in a casual and close manner, despite the spatial, temporal and historical distance which separates us. Art, at times, can do this. It can come to people, speak at length to them without losing its mystery. It can belong to all people, become “public”, allowing for an emotional connection, helping man in his relation to the world, creating relations and experiences rather than merely objects or images.
Raumars residency, Finland
Passaggio a Nord
In Sicilia le nonne preparano il copriletto matrimoniale per le nipoti, tessendolo per tutta la nostra infanzia con le lane più care perché di recupero. Io ho disfatto il mio fatto da mia nonna ed utilizzo il filo per le mie opere, sentendomi in unione con lei, in un lavoro continuo ed inverso, come quello di Penelope.
Il filo di lana è diventato un’installazione sonora ed un paesaggio alla GAMeC di Bergamo; un’animazione in cui il filo disegna le mie città, paesaggi, oggetti, e segue un percorso che ho chiamato la via della lana; è diventato un quadro per dei collezionisti ed un quadro che invita i degenti dell’Ospedale di Milano a scrivere il bello della loro vita.
I fili della ex-coperta compiono adesso un viaggio in Finlandia per trasformarsi in altro ancora.
Ora vorrei disegnare un paesaggio finnico, unendo il filo di mia nonna con quelli che utilizzate voi per i vostri tessuti tradizionali: far incontrare la cultura nordica con quella siciliana, il Nord con il Sud d’Europa, e far incontrare anche la cultura tradizionale artigianale e popolare con la storia dell’arte, un’immagine della storia dell’arte, ed un artista.
Ho scelto per il progetto un disegno di Hugo Simberg (1873-1917), artista del periodo d’oro dell’arte in Finlandia.
Simberg si discosta dai suoi contemporanei: ha aspetti simbolisti, surrealisti, ed elementi molto provocatori ed ironici che al tempo gli procurarono non poche critiche. Nonostante sia molto popolare la sua figura da queste parti il disegno da me proposto non è molto conosciuto: The Queen Fishing è un’acquaforte realizzata nel 1895-96; una fotografia del disegno è esposta nel The Gallen-Kallela Museum di Espoo, ma l’originale appartiene ad una collezione privata.
Alcune tessitrici di Rauma tesseranno quest’arazzo. Sulle prime l’idea di un disegno sconosciuto, poco decorativo, poco rappresentativo, poco scenografico e molto ironico, quasi irriverente, poco legato alla tradizione del ricamo, non è stata accettata con entusiasmo. A me è sembrato interessante questo incontro/scontro con un disegno di arte moderna: ogni volta che si incontra l’arte contemporanea si ha un incontro difficile, ostico, che ha bisogno di preparazione, riflessione. L’arte richiede uno sforzo, non fa mai ciò che ti aspetti, anzi fa il contrario e funziona solo se ti suscita delle domande.
Il nostro primo incontro con le ricamatrici ha rotto il ghiaccio; il fare ha risolto molti problemi e si è scesi subito ad una bella collaborazione vicendevole: cosi ho proposto che dopo la scelta del disegno e il riportarlo sul tessuto adatto, loro potevano decidere i colori da usare, le tecniche da scegliere, e mano a mano che si parlava e si decideva, si parlava anche di Simberg, dei suoi quadri, dei colori che usava, dello spirito delle sue idee. Senza accorgersene ci si appropriava di un linguaggio, nuovo, da esplorare attraverso un disegno, ripercorrendo il tratto, ripassando sul segno del disegno originale, reinterpretandolo a modo nostro, seguendo il filo che le univa/cuciva in qualche modo alla storia dell’arte.
Poi queste amorevoli tessitrici mi hanno chiesto di mia nonna, della sua storia, della sua lana molto vecchia e piena di nodi e le ho spiegato che da noi, secondo la cultura contadina, c’era l’uso di fare una coperta di lana con i resti di tutte le cose inutilizzate: vecchie calze, vecchi maglioni, e anche loro mi parlavano del fatto che riutilizzano la lana vecchia per fare tappeti.
Cosi si è cominciato a lavorare con leggerezza, con una bella sensazione di vicinanza, nonostante le nostre distanze spazio temporali e storiche, in maniera facile come anche l’arte dovrebbe fare ogni tanto: arrivare vicino alla gente, parlare di più senza perdere il mistero, diventare di tutti, far scattare processi sentimentali, aiutare l’uomo nella sua relazione col mondo, creare relazioni, esperienze e non solo oggetti o immagini.
Raumars residency, Finlandia
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Gamec Bergamo - Excoperta 3 Ottobre 2003
Il racconto e l’arte della tessitura sono sempre stati intrecciati, sin dalle più antiche civiltà; “ perdere il filo del discorso” è una frase comune, ed è per questo che la coperta da cui è partita Concetta Modica per il suo lavoro assume una notevole importanza. L’Artista ha infatti preso una coperta tessuta dalla nonna con gli avanzi dei fili di lavori a maglia precedenti, e l’ha lentamente sfilata durante i mesi della sua gravidanza . Si tratta di un percorso che sfida tante abitudini consolidate:sfalda un manufatto, la coperta , che a suo modo raccontava storie e tradizioni familiari, inverte il fatto che nel periodo dell’attesa di un bambino si prepari un corredo, e non si smembri una stoffa. Apparentemente il lavoro sembra ricordare quello di Penelope, che di giorno tesseva e di notte disfava la tela ma, ancora una volta, il processo di Concetta rovescia le parti ed i significati. Penelope tesseva e sfilava per allontanare il momento di un’importante decisione, ed il suo era solo un inganno astuto per sopportare un futuro incerto, mentre nel nostro caso l’artista ha uno scopo ben preciso in questa operazione di rovesciamento: si tratta di annullare un oggetto – la coperta – portandola al grado “zero” della realizzazione, per poi costruire un oggetto nuovo, che rinasce, irriconoscibile, dai fili liberati. Excoperta ha questo significato: il nome dell’opera ospitata da Palestra vuole dire “dalla coperta”, ricordando cosi l’importanza del processo che ha portato dalla coperta ad una cosa che coperta più non è. Non ne ha la funzione né l’aspetto.
L’opera che nasce ci indica che l’artista ha privilegiato i concetti di colore, forma, esperienza sensoriale, rispetto a quelli di funzionalità, tradizione e significato. I fili, che nella coperta erano disposti in modo disordinato, dato dal reimpiego di vecchi lavori a maglia, vengono disposti secondo un ordine preciso e raffinato, basato sulla successione armonica delle tinte. Un oggetto personale diventa un modo di interagire con lo spazio, una coperta silenziosa acquista corpo e musica grazie a campanellini ed altri piccoli strumenti che permettono al pubblico di creare dei suoni. L’esperienza intima del disfare viene aperta allo spettatore, invitato a interagire con l’opera, a muoversi al suo interno – infatti tra i fili tesi ci sono degli spazi in cui si può infilare il capo per vedere il risultato dall’alto, nel suo insieme – ed a collegare queste corde multicolori con uno strumento simile a un arpa armonica, che invita ad ampliare le proprie percezioni, fondendo musica e vista.
Il prossimo 3 ottobre 2004 alle ore 18.30, in occasione della Giornata Nazionale FIDAM (Federazione Italiana Amici dei Musei) e in collaborazione con l'Associazione Amici dell'Accademia Carrara, la GAMeC presenta il sesto appuntamento di Palestra : iniziativa dedicata a giovani artisti esordienti. Dal 5 ottobre al 28 novembre 2004 la struttura in vetro e cemento nella piazza della Galleria accoglie l'opera di Concetta Modica: Excoperta .
Excoperta è una coperta che non è più tale, è un'armonia di fili multicolori che un tempo la nonna dell'artista aveva tessuto con i resti dei lavori a maglia. Durante la recente gravidanza Concetta Modica ha sfilato la coperta e la ricompone oggi all'interno dello Spazio Palestra della GAMeC, trasformandola nell'uso e nella forma, fino a farla diventare paesaggio, luogo d'incontro e persino strumento musicale.
Questo atto di decostruzione non è una distruzione, ma un’operazione di azzeramento. Da questo punto in poi inizia un processo di rielaborazione di un nuovo ordine, nel quale si ricercano solo le forme, le suggestioni di visioni. Nel caso di Excoperta i fili di lana sono stati organizzati in gradazioni di colore e tesi da un lato all’altro dell’edificio integrandoli con cavi di acciaio. Al visitatore viene chiesto di interagire con lopera di abbassarsi e passarvi in mezzo, dove alcuni piccoli spazi sono stati lasciati liberi dai fili per consentire a chi vi penetra di osservare il lavoro dall’alto ma non solo. Ciò che un tempo era sta una coperta, oggi diventa anche un oggetto per fare musica. Il visitatore può suonare i fili di lana come corde di un’arpa orizzontale nel quale egli fluttua e di cui fa parte. Al tocco delle fibre la struttura di vetro si trasforma in una cassa di risonanza dove vibrano le corde e tintinnano i campanelli posizionati dall’artista. Il passato dell’oggetto è lontano. Ciò che si vede non rimanda a nient’altro è una nuova dimensione ricreata dopo il caos della casualità che l’ha generata: il disfacimento di un manufatto.
Dall'utilizzo pratico si passa così alla ricerca di un puro ordine visivo.
Durante la giornata inaugurale, domenica 3 ottobre , il musicista Giovanni Giroldi darà vita a una performance musicale che accompagnerà i visitatori ad una diversa percezione dell'opera.
"Dalle mani di mia nonna alle mie, e dalle mie mani alle vostre, gli stessi colori, nenie diverse, tempo sospeso che è quello della partecipazione alla creazione della coperta e della excoperta, una materia unica e differente per chiunque si avvicini e la sperimenti".
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Esiste o non esiste la storia?
E se esiste qual è il tipo di storia che sentiamo appartenerci?
Concetta Modica con il lavoro “Garibaldi” gioca alla decostruzione della storia, non una storia antica, ma vicina a noi, al periodo che ha fatto l’Unità d’Italia. Concentrandosi su uno degli eroi del risorgimento, forse quello più amato dalla gente, perché il più libertario. Difatti nella doppia videoproiezione si vedono le gesta di garibaldi, lo sbarco dei mille, riprese da un carretto siciliano, quindi da un’iconografia popolare, si era già appuntata sulle gesta di Orlando. Il carretto viene smontato e dipinto di bianco, quindi destrutturato formalmente e la pittura azzerata, è la storia affrontata con ironia, ridicolizzata, sminuitaSappiamo che la grande storia è stata contestata dalla cultura postmoderna che ci ha parlato della fine delle grandi narrazioni con utto il progetto di progresso che si portava dietro. Si è, infatti, parlato di fine della storia con la “S” maiuscola, perché nel mondo odierno tutto è mescolato: alta media e bassa cultura sono non più in una relazione piramidale, ma orizzontale, ponendoci di fronte a un grado zero dell’esistenza.
Giacinto Di Pietrantonio
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Gioca con simboli storicizzati e forme riconoscibili Concetta Modica. Oggetti d'uso comune, estrapolati dalla memoria collettiva o dal proprio bagaglio intimo, e approdati a una dimensione simbolica, si trasformano in contenitori di ricordi, di tensioni private, di temporalità sedimentate, di significati stratificati ma mai logori. Modica ne fa dunque dei luoghi mentali, misurabili, utili a rileggere e risignificare lo spazio intorno. Disinnescatesi le energie affettive e i meccanismi funzionali che ne costituivano l'identità originaria, questi oggetti si trasformano in elementi formali, capaci però di attivare nuove tipologie di relazione, nuove esperienze percettive, nuovi percorsi immaginativi, nuove attribuzioni di senso.
Si tratta dunque di una scrittura anomala, la cui sintassi è regolata da un'urgenza esplorativa e indagativa dello spazio, delle cose e delle persone che ne fruiscono o che hanno fruito. Così è per la coperta della nonna dell'artista, o per un vecchio carro siciliano decorato, o per il panno verde dove ha giocato Carlo Cifalà (campione del mondo di biliardo): ognuno di questi "reperti", all'interno del discorso estetico ed artistico intrapreso, contribuisce a una inedita tessitura di sguardi, di gesti, di possibilità relazionali e di connessioni mentali.
Helga Marsala
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Concetta Modica ha coinvolto la coperta di sua nonna in un lavoro di decostruzione e ritessitura in continua trasformazione. E’ già stata installazione sonora e paesaggio per diventare adesso un quadro ricamato che riproduce i disegni delle bambine di una famiglia milanese. La campionatura dei colori dei fili è riportata come in un manuale di maglieria nella parte inferiore della tela . Il resto di questa preziosa coperta è destinato nel futuro a mutare la sua trama in altro ancora, come in un disperato tentativo di non lasciare che le cose vadano perdute nel tempo. Così la Fontana da tavolo, una vasca d’alluminio dove i genitori dell’artista le facevano il bagno da bambina, da oggetto intimo e privato diviene una fontana pubblica che invita a rinnoversi alla fonte dell’eterna giovinezza.
Luca Beatrice
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